Molto spesso sento dire che cogliere l’attimo giusto è la ricetta magica per fare ottime fotografie.
Questa cosa non mi ha mai convinto perché per me significa semplicemente essere osservatori di ciò che accade e scattare a raffica tanto prima poi una foto giusta la becchiamo. Il che è quasi come affidarsi al caso.
Sicuramente è un metodo che porta i suoi frutti, non voglio metterlo in discussione, ma credo sia proprio il principio di fondo che è sbagliato. O meglio, sarebbe giusto se limitassimo il lavoro di un fotografo a quello di un documentarista, di colui che guarda e riporta esattamente ciò che accade, a colui che affida la sua opera al pulsante di scatto.
Tutto ciò esclude il far accadere qualcosa, il prendere decisioni e l’essere la mente del proprio lavoro, esclude quasi l’essere umano inteso come essere pensante, progettante ed esecutore.
Quello che invece è secondo me il vero nocciolo della questione è il rapporto tra fotografo e soggetto, che si tratti di persone o di oggetti non fa differenze, è l’entrarci in rapporto che conta, la sintonia o i contrasti, l’essere a proprio agio o il disagio, sensazioni positive o negative ma comunque rilevanti e rivelanti perché nelle nostre foto portiamo ciò che viviamo.
Il creare un rapporto, spesso di durata brevissima, giusto il tempo di qualche scatto, è il punto sul quale ruota la riuscita delle foto al punto che una volta entrati in sintonia non ci sono momenti migliori di altri o attimi magici. Il tutto funzionerà senza ombra di dubbio.
Come ogni attività svolta dall’essere umano dovrebbe essere proprio l’umanità della cosa a fare da padrona buttando via le paure, accettando i rischi di non piacere a tutti, di suscitare critiche e allontanarsi dal consenso popolare e godensosi in libertà le scoperte che ogni sessione fotografica può offrirci.
Farà bene alla nostra fotografia a alla nostra persona. Provare per credere.
Micol facciamo che mi dici due cosine su come vivi tu la fotografia, il tuo è un viverla dal lato opposto al mio, sei “il soggetto” come si suol dire. Colui che fa da tramite tra il fotografo e il pubblico.
Ok Ale, ci sto!
Vorresti provare per un giorno ad essere qualcun’altro?
Vorrei essere Angelina Jolie: adorata, ricca e piena di film da tra cui scegliere. Adorerei davvero.
Da fotografo ti chiedo che rapporto hai con i fotografi? Dato che posi e hai posato molte volte mi viene spontaneo farti questa domanda.
Normalmente abbastanza buono, ormai posare è solo un hobby. Una volta vivevo il rapporto con loro sotto la banidera del “odddio speriamo di piacergli”….ora me la vivo tra il “sperem di fare belle e foto” e “‘azzmenefrega”.
Cosa cerchi o speri di trovare nelle foto che ti vengono fatte?
Me stessa. Non in senso karmiko eh, ma spero sempre che becchino la mia essenza , la mia femminilità. Quindi spero che becchino la stanchezza dello sguardo e la languidità del corpo.
Capita spesso che il servizio ti dia ciò ch speravi?
Non spesso come vorrei.
È la vera Micol che appare nelle foto? (Per quelle che ti ho fatto io mi sembra di sì ma correggimi se sbaglio).
A volte si. A volte salta fuori. A volte salta fuori una simpatica versione di quella che POTREI essere.
Che differenza c’è tra farsi i selfie e farsi fotografare?
La differenza sta che magari a volte t’innamori del modo di scattare dell’altro. E poi vabbè una foto è una foto, un selfie solo “un cazzo di selfie”.
Noi abbiamo scattato 2 volte insieme, ci sarà una terza?
Aspetto solo che mi chiami. Sono pure dimagrita. Mi sento splendida.
Bella risposta, mi piace. Questa volta preferiresti interpretare un personaggio o raccontare te stessa?
Me stessa nel senso migliore: bella drammatica!
Quanto è importante la scelta delle fotocamere per un fotografo?
Come si sceglie la fotocamera?
Il discorso secondo me è lungo e complesso ma una volta entrati nella giusta visione della cosa diventa di una semplicità disarmante perché non sono scelte tecniche ma di atteggiamento.
Non starò a fare recensioni e confronti tra Canon, Nikon, Leica, Sony, e tutto ciò che il mercato ci offre bensì mi soffermerò a riflettere sul tipo di sistema (reflex, mirrorless, medio o grande formato).
Tutto ciò che dico è frutto di esperienza personale quindi opinabile da chiunque in qualsiasi momento.
Il punto nodale di tutto è che ogni sistema ci pone in uno stato mentale particolare e di conseguenza in un atteggiamento specifico rispetto al soggetto, indipendentemente che il soggetto sia una persona, un paesaggio o un oggetto.
Chi non disposizione di vari sistemi può verificare questa cosa facendo foto agli stessi soggetti con la fotocamera che ha e col cellulare, per rendere più evidente la differenza usi un 35mm sulla fotocamera che è la stessa lunghezza focale dei cellulari (almeno della maggior parte).
Prendete la vostra modella di turno, allestite il set o andate in location e scattate con entrambi gli strumenti.
Come vi sentite usando il cellulare? E usando la reflex? Le foto sono uguali? Non tecnicamente parlando ma a livello di concetto, di linguaggio e di sensazioni che percepisce chi le guarda.
Se poi avete la possibilità di provare anche con mirrorless, reflex, banchi ottici e medi formati capirete ancora meglio di cosa sto parlando.
L’atteggiamento è come ci poniamo, come entriamo in relazione, quanto e come pensiamo scattando, quanto ci sentiamo distaccati o dentro la fotografia che stiamo facendo, quanto siamo influenti ecc.
il risultato di un atteggiamento sono le foto che facciamo.
Questa è, secondo me, la prima riflessione da fare quando vogliamo comprare una fotocamera, tutti gli altri parametri di scelta li reputo di secondaria importanza.
Io ad esempio ho quasi totalmente abbandonato le mie reflex Canon a favore delle Sony A7 RII perché volevo una minore influenza del mezzo tecnico, un abbattimento della barriera tra me e i soggetti, una fotocamera piccola e silenziosa mi permette di stabilire una relazione più paritaria con chi si sta facendo fotografare, in questo modo la persona e la personalità riescono a dare un plus ai ruoli interpretati durante uno shooting.
Vado alla macchinetta e compro un pacchetto di sigarette.
Adesso hanno queste foto che minacciano, che ci fanno vedere come saremo se continuiamo a fumare.
Quando ero piccolo erano altre le cose che facevano diventare ciechi, hanno tentato di fregarci ma non ci sono riusciti. Forse perché non avevano le prove, le foto di onanisti con pupille buie.
Non c’è niente da fare, la Fotografia viene considerata come prova schiacciante che quel fatto, quella persona, quel qualcosa che è visibile nella foto sia così e non potrebbe essere altrimenti.
Noi fotografi sappiamo bene che produciamo immagini per testimoniare solo e soltanto la nostra idea, la nostra personale interpretazione di qualcuno o di qualcosa, che ci serviamo delle macchine fotografiche e dei soggetti per portare un messaggio che fino ad oggi nessuno ha portato e che quel messaggio non potevamo portarlo che noi.
L’unica verità che sta dietro una fotografia è la testa, la pancia, il sentimento, la cultura, il vissuto, la personalità dell’autore. Questa è la sola verità che una foto dice.
Il pubblico, o per lo meno un certo pubblico, la massa diciamo, ha invece l’illusione che il fotografo abbia voluto documentare un qualcosa, che sia la bellezza di una modella, una vista di un paesaggio, un fatto accaduto; diciamo che il fotografo abbia schiacciato il pulsante di scatto per dire “era così, io c’ero e te lo dimostro”; questa è la percezione della verità.
La percezione della verità è talmente potente che rende reale ciò che di reale non ha niente, è un giro di parole ma si potrebbe dire che la fotografia è più reale della realtà nonostante non sia la realtà, o meglio non sia quella realtà che un pubblico disattento o poco preparato riesce a cogliere.
Ovviamente ci sono anche fotografi che non hanno altro da dire che raccontare quello che vedono senza filtrarlo dal loro io. Sono fotocopiatrici che si muovono in posizione eretta e hanno il dono della parola (ho detto della parola non del pensiero).
Fotografare con questa mentalità è come copiare da un libro le parole prese in ordine sparso, magari metterle in fila in ordine di lunghezza così otteniamo anche un risultato eccellente dal punto di vista estetico e alla fine sentirsi scrittori.
Voglia di riprodurre la realtà e desiderio di esprimere estetica, senza il lavoro che fa su se stesso un autore, sono le prime minacce da cui dovrebbe difendersi chi si avvicina alla fotografia sia per farla che per apprezzarla.
Quindi fumiamoci pure tutte le sigarette che vogliamo e se diventeremo ciechi forse faremo fotografie più sensate.
Tra cogliere l’attimo e scattare a raffica c’è una differenza abissale.
Chi scatta a raffica evidentemente non sa cogliere, visto che fotografa tutto nella speranza di fare un buono scatto.
Cogliere l’attimo significa innanzitutto avere estrema sensibilità nei confronti di ciò che ci circonda, e poi avere l’intuito per capire il momento giusto.
Sono doti che non si imparano e che che a mio avviso rappresentano l’aspetto più artistico della fotografia.
“Costruire” uno scenario al contrario è più alla portata di chi studia: lo definirei l’aspetto “ingegneristico” della fotografia.
Può portare a risultati indubbiamente spettacolari e perfetti ma a mio avviso sono fotografie… senza anima.